Oro e crisi economica
La fine del gold standard
Fin quando la quantità di moneta emessa dagli istituti bancari si basava su una fissata quantità di oro (cioè fino a quando vigeva il cosiddetto “gold standard”), si producevano tre effetti basilari:
- il totale delle monete emesse da uno Stato non poteva eccedere il valore della riserva aurea custodita dalla sua Banca Centrale;
- le monete erano convertibili, per il corrispondente valore, in oro tangibile;
- l’inflazione era tenuta a freno, giacché una banca non poteva cedere in prestito ai Governi una quantità di moneta superiore al valore della propria provvista d’oro.
Dato che l’inflazione è determinata dall’aumento della quantità di moneta circolante, fino a un secolo fa il gold standard consentiva oscillazioni dei tassi di cambio che, in funzione di flussi aurei controllati, si mantenevano costanti. Infatti, l’aumento dei prezzi riduceva le esportazioni e aumentava le importazioni, con conseguente riduzione della quantità di moneta e connessa deflazione, riequilibrando il sistema.
Con la fine del gold standard e il passaggio al dollaro USA come moneta di riferimento, il valore delle monete nazionali non è più ancorato al valore di scambio di un bene fisico dalla reperibilità limitata, bensì creato da zero: esso rappresenta semplicemente l’ammontare del debito che ogni Stato deve restituire con gli interessi alle banche private.
L’accaparramento di riserve auree nei caveau delle Banche Centrali ha prodotto la tendenza a una sconsiderata liberalità creditizia, con effetti disastrosi sull’attualità economica. E proprio da ciò origina la crescente domanda di un ritorno al sistema aureo e l’utilità nel comprare oro.
L’instabilità internazionale e la stabilità aurea
Il bene-rifugio per eccellenza
Che l’oro sia a tutt’oggi tenuto in grande considerazione lo dimostra il costante aumento del suo prezzo nel mercato speculativo. In questo ambito, comprare oro significa, da un lato, depositare le proprie liquidità in un rifugio a prova di terremoti geopolitici, come quelli che sconvolgono l’Ucraina e il Medio Oriente e, dall’altro, proteggerle dalla progressiva svalutazione del dollaro USA.
Ma per i risparmiatori, comprare oro equivale soprattutto a tutelarsi contro la disintegrazione del potere d’acquisto dei salari, contando altresì sul fatto che l’aumento della produzione di tale metallo non è attualmente concepibile e che le Banche Centrali evitano di immettere sul mercato le proprie riserve. Ecco perchè conviene investire nel metallo prezioso.
Come comprare oro
Consigli sugli strumenti di investimento
Il primo passo fondamentale è rivolgersi a persone qualificate ed esperte. Informarsi e chiarirsi le idee sul funzionamento degli scambi e delle oscillazioni di mercato evita sorprese sgradevoli e mosse azzardate.
Due sono le modalità d’acquisto dell’oro:
- certificati aurei (ETC o ETF)
- oro fisico.
I primi sono certificati cartacei, basati sul principio per cui il loro valore nominale corrisponde ad una uguale quantità di materia prima posseduta dall’istituto emittente, replicandone il risultato di scambio in Borsa.
Il vantaggio è rappresentato dalla semplicità d’acquisto e di conservazione dei certificati e dall’esiguità dell’investimento di partenza (nell’ordine delle decine di euro); ma il rischio è che la banca venda titoli per un valore complessivo superiore alla propria riserva aurea. Quindi sono sconsigliati a chi voglia “blindare” il proprio budget.
Comprare oro fisico, in monete e lingotti, è di gran lunga preferibile, purché si non ci si rivolga alle banche.
Il vantaggio è quello di poter verificare tangibilmente la corrispondenza di valore tra la spesa che si affronta e il bene che si acquista, ma lo svantaggio è dato dalla necessità di assicurarne il trasporto e il deposito in una località sicura, possibilmente estera.
Fondamentale è non sottoscrivere investimenti collettivi, ma conservare sempre il metallo a proprio nome: ciò consentirà di recuperare sempre il valore dell’investimento. Esistono infatti diversi fondi che acquistano azioni emesse da società estrattive, ma sono ovviamente soggette alle incertezze del mercato azionario e al rischio d’impresa.